I Bitcoin ultimamente hanno raggiunto un’elevatissima copertura mediatica per almeno tre principali motivazioni. La prima è la crescita del prezzo dell’asset che ha permesso la nascita di una moltitudine di nuovi ricchi ridistribuendo la ricchezza sociale. La seconda è l’attenzione scientifica verso la tecnologia sulla quale il bitcoin si basa: la blockchain. La terza motivazione è di natura ambientale: il mining di Bitcoin non è molto sostenibile a livello ambientale.
Che cos’è il mining?
Non mi dilungherò sul funzionamento del mining, chi vuole approfondire vada qui.
Come sappiamo il bitcoin è un asset che può essere scambiato sui circuiti digitali. Per far sì che questi scambi avvengano vi è la necessità dell’intervento dei miners. I miners sono degli individui che mettono a disposizione del network potenza computazionale.
Come fanno?
Molto semplice: attraverso l’utilizzo di CPU o GPU molto potenti che fino a qualche anno fa venivano utilizzate nel settore dei videogiochi. Queste unità di elaborazione centrale e di elaborazione grafica utilizzano la propria capacità computazionale per decodificare e trovare il “nonce” ovvero la chiave crittografata che può decriptare l’intero blocco. Nel concreto questo procedimento, chiamato Proof-of-Work (PoW,) è composto da tentativi e errori. Lapalissiano è che per compiere tentativi serve corrente elettrica e che quindi viene “sprecato” un elevato quantitativo di corrente.
Quanta corrente viene impiegata per il mining di Bitcoin?
Il ciclo continuo di mining dei blocchi incentiva le persone di tutto il mondo a tuffarsi in questo settore redditizio. Poiché il mining può fornire un solido flusso di entrate, le persone sono si prodigano per far funzionare le macchine affamate di energia per ottenere anche una minima del profitto. Nel corso degli anni questo ha fatto sì che il consumo totale di energia della rete Bitcoin crescesse fino a proporzioni epiche, questo è anche dovuto al continuo aumento di transazioni compiute all’interno del sistema. L’intera rete Bitcoin ora consuma più energia di molti stati, questo secondo un rapporto pubblicato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia. Se Bitcoin fosse un paese, sarebbe classificato come mostrato di seguito.
Con i valori attuali, si stima che per il mining di bitcoin si consumeranno circa 35 Twh in un anno. In caso di una adozione mainstream della cryptocommodity i consumi aumenteranno esponenzialmente. Quest’anno le stime affermano che per minare bitcoin si utilizzerà più energia di quella spesa da tutta la Danimarca!
Analizzando la continua crescita dei volumi delle transazioni del bitcoin gli statistici hanno stimato che per l’estate del 2019 il mining di bitcoin spenderà la stessa quantità di corrente di quella degli interi Stati Uniti.
In accordo con le ricerche pubblicate da Alex de Vries, conosciuto come Digiconomist, risultano dati molto preoccupanti:
Ma le stime da cui tutte le fonti ha attinto sono vere?
C’è da dire comunque che i dati non sono certi, infatti il crypto-imprenditore e redattore su bitcoinmagazine.com Marc Bevand ha affermato che i dati pubblicati sul Digiconomist sono sbagliati del 500%; questo perché gli statistici hanno assunto un’efficienza dei macchinari molto minore rispetto a quelli realmente usati.
Il problema rimane
Anche se Marc Bevand avesse ragione il problema rimane. Oltretutto l’impatto ambientale del bitcoin non si limita allo spreco di corrente elettrica. Secondo una ricerca dell’università di Cambridge è stimato che circa il 70% dei miners siano collocati in Cina. La maggior parte delle mining-farm è localizzata in Cina proprio per il costo nominale molto basso della corrente elettrica: la corrente, infatti, viene prodotta in gran parte dalla combustione del carbone. L’energia prodotta grazie al carbone in Cina ha un costo economico bassissimo ma a livello di impatto ambientale è tutt’altro che così- Il carbone usato per la produzione inquina aria, acqua ecc, senza contare che da i dati del Global Carbon Project sappiamo che le riserve di carbone si estingueranno nel giro di 32 anni.
Come rimediare?
La PoW è stato il primo algoritmo di consenso che è riuscito a dimostrarsi efficacie, questo grazie alla soluzione del problema matematico dei generali bizantini, ma non è l’unico algoritmo di consenso. Algoritmi più efficienti dal punto di vista energetico, come il proof-of-stake, la delegates-prooof-of-stake e molti altri sono in fase di sviluppo. L’unico lato negativo della PoS è che nonostante ci siano molte possibilità teorizzate nessuno è riuscito a risolvere il problema a livello di teoria di giochi. Certo è che il lavoro su questi algoritmi offre buone speranze per il futuro.